martedì 20 giugno 2017

L’USCITA DEGLI STATI UNITI DAGLI ACCORDI DI PARIGI: CONSIDERAZIONI E CONSEGUENZE

La notizia dell’uscita degli USA dalla COP21 ha fatto in fretta il giro del mondo la sera del 1° giugno. Questa scelta, scellerata e incomprensibile, dimostra -ancora una volta- quanto a certi potenti siano a cuore la ricchezza e il consumo di risorse invece del benessere delle generazioni future. Un’amministrazione di un Paese così rilevante a livello mondiale che taglia fondi a NASA, ricerca climatica, sanità e aumenta finanziamenti agli armamenti la dice lunga…


Premetto e ribadisco ancora una volta che il global warming c’è ed è quasi tutta colpa nostra: evitare per favore commenti contrari, perché il GW non è un “credo religioso” ma un dato di fatto, continuamente dimostrato da fior fior di articoli internazionali frutto dei più avanzati studi ed Enti di Ricerca a livello mondiale; l’immagine sotto parla da sola.



Anomalia media globale dal 1880 a oggi: non servono commenti.


Dato per certo il GW e date per certe le colpe della società consumistica, il fulcro del mio articolo è: cosa si può DAVVERO fare per LIMITARE il riscaldamento globale? N.B.: ho usato il verbo limitare e non fermare, poiché se anche bloccassimo del tutto ogni tipo di immissione di CO2 e gas climalteranti avremmo i risultati fra 20-40 anni, a seconda del tempo di residenza del gas immesso.
Ho letto sulla mia pagina personale tantissimi commenti contro l’uscita degli USA dalla COP21 (e ciò mi fa piacere) ma chiedo a costoro: cosa fate davvero per dimostrare la vostra contrarietà? È un mero controsenso accusare gli USA di un gesto scellerato se poi si è i primi a consumare risorse, far male la raccolta differenziata, comprare le noci dal Cile o le pere dall’Australia, acquistare SUV, viaggiare sempre in aereo o usare il condizionatore a 24° in casa (o anche meno!). Facendo così si predica bene e razzola male, poiché da un lato si critica il modello consumistico degli USA, ma dall’altro lo si adotta nella vita quotidiana perché ci fa comodo.
Il cambiamento del nostro stile di vita deve partire da OGNUNO DI NOI, a prescindere da ciò che fanno i potenti. Certo, se questi ultimi avessero un po’ di buon senso non sarebbe male, ma la realtà è diversa, pertanto -poiché non si vive nel mondo delle favole- si deve cominciare a cambiare stile di vita, più sobrio e meno consumistico, senza rinunciare in alcun modo al nostro (ALTO) livello di benessere: visto che ci siamo già giocati oltre 1.5°C dall’era pre-industriale, la COP21 ci dice che non possiamo più permetterci di vivere consumando così tanto, ma anzi servono scelte drastiche.
Non aspettiamo il Mago Merlino di turno che promette di risolvere i problemi futuri ma incentiva cementificazione o industrie ad alto impatti ambientale: i problemi sono qui e ora (si veda questo mese di giugno 2017) e ognuno di noi ha il dovere di dare il buon esempio. Come? Ecco una breve lista di piccoli gesti che se attuati da tutti potrebbero già far qualcosa di importante, SENZA CHE IL BENESSERE DI CIASCUNO VADA A CALARE.

1)      Impara a usare la locuzione “strettamente necessario”, qui abbreviata in “ST”
2)      Usa l’auto solo se ST, prediligi mezzi pubblici, bici, scooter elettrici e le gambe
3)      Acquista (qualsiasi cosa) solo se ST; dai una seconda vita alla roba, io non compro praticamente nulla; siamo circondati di oggetti di ogni tipo, anche inutili, non ha senso comprare ancora
4)      Riusa, ricicla, risparmia: in tempo di crisi fa bene sia all’ambiente sia al portafogli; non lamentiamoci della crisi infinita se sprechiamo soldi in cose inutili
5)      Prediligi i prodotti di stagione o a km0, evita di acquistare le noci dal Cile o le pere dall’Australia
6)      Usa l’aereo solo se ST, non serve andare nelle mete esotiche mangiasoldi per avere un mare cristallino, basta il nostro Belpaese dopo una giornata di correnti settentrionali

7)      Usa riscaldamenti e condizionamenti con parsimonia: riscaldamenti sotto i 20°C, condizionamenti sopra i 28°C (più o meno come faccio io). 

domenica 4 giugno 2017

RESILIENZA E COMPORTAMENTI IN CASO DI EVENTO ESTREMO: COME MAI SIAMO ANCORA COSI' IMPREPARATI?

Quotidianamente si vedono scene di panico di ogni tipo: eventi naturali estremi, attentati terroristici, panico tra la folla ecc. Il minimo comun denominatore di tutti questi fenomeni infausti (e di altri) è il “Non sapere cosa fare”. Già, dovrebbe essere logico pensare a un piano di salvezza per le persone in caso di grave pericolo (che sia naturale o antropico): e invece a ogni disgrazia c’è sempre qualcosa che non va. Lascio stare i casi dovuti alla follia umana a sociologi e psichiatri e mi concentro su quelli naturali: ci si chiede come mai, ogniqualvolta che c’è una disgrazia, ci scappi sempre un morto (o anche ben più di uno) che poteva essere evitato: ovviamente faccio riferimento a terremoti, alluvioni, frane, valanghe ecc.


immagine concessa da ilcambiamento.it


Il punto è che manca totalmente la cultura della resilienza e dell’agire in caso di serio pericolo: noi non siamo capaci di reagire con freddezza e in maniera corretta allorquando c’è una situazione ove non abbiamo il controllo. Tre esempi ai limiti del grottesco: il primo è stato nel tornado di Dolo e Mira del 2015 quando due imprudenti signori hanno filmano il cono tornadico a poche decine di metri, non pensando all’incredibile rischio cui sono andati incontro; il secondo quando alcune persone che, costrette a stare in tenda (il luogo più sicuro in caso di terremoto), sono schizzare fuori impaurite allorquando c’è stata un’altra scossa tellurica (non ricordo di preciso quale terremoto fosse); il terzo quando il folle di turno rimane annegato con la macchina in un sottopasso allagato dopo un nubifragio.
Questi tre esempi denotano la totale mancanza di conoscenza in caso di forte pericolo, ma io non do colpe a costoro (a parte forse il terzo caso…): permettetemi la frase scorretta che “nessuno nasce imparato”, quindi la vera colpa è di CHI (NON) CI INSEGNA, ovvero della scuola. Quest’ultima (e lo dice un docente di matematica e fisica) non insegna affatto a essere resilienti (a come adattarsi cioè a eventi estremi SEMPRE più frequenti), ma insegna una valanga di nozionismo mnemonico, pochissimo di pratico e sforna un sacco di giovani che, non sapendo fare quasi nulla (non sanno aggiustare, riparare, coltivare, adattarsi, e tra questi mi mettevo anche io!), sono obbligati a cercarsi un lavoro (spesso sotto ricatti, soprusi, orari assurdi, festività annullate e altro) perché sono obbligati a comprare tutto. Se invece la scuola insegnasse un po’ meno astrattismo e nozionismo e un po’ più di manualità e resilienza ne gioveremmo tutti. In fondo, la cultura uno se la può fare crescendo: chi di voi a 15 anni amava alla follia le tediose interrogazioni sulle frasi manzoniane o dantesche (nulla togliendo a due signori che hanno fatto la storia della letteratura) oppure alle (pressochè) inutili dimostrazioni di formule e teoremi?
Una maggiore preparazione nei casi estremi nonché una maggiore conoscenza ambientale sono argomenti fondamentali, poiché in caso di emergenza si salva chi agisce correttamente con freddezza e razionalità.
Sia chiaro, ogni materia scolastica ha la sua indubbia utilità, ma argomenti come etica ambientale, economia ambientale e territoriale, geologia ecc. dovrebbero avere un ruolo PRIMARIO nell’istruzione, a tutti i livelli e in tutti gli indirizzi scolastici.

A proposito di detti, io rivedrei un po’ l’aforisma “un popolo ignorante è più facile da governare”, o meglio lo rigirerei dicendo “non è detto che un popolo istruito faccia scelte sagge e resilienti”: chiedere agli Stati Uniti per conferma (paese di indubbia egemonia mondiale, in cima a tutti i ranking per eccellenze in ogni tipo, mito mondiale di benessere, con le università più avanzate e una bassissima disoccupazione).