martedì 7 febbraio 2017

GENNAIO 2017: UNA SCOMODA VERITÀ (SECONDA PARTE)

In questo mio articolo ho analizzato gli effetti negativi del mese di gennaio dal punto di vista meteorologico. Adesso tratterò da un altro punto di vista: quello etico-economico. 


Schema della tragedia del Rigopiano (cortesia di Daniele Cirillo)


La nostra società che ha tutto e desidera tutto è al tempo stesso iper-tecnologica e altrettanto fragile. Nonostante i numerosissimi mezzi di prevenzione e di soccorso, c’è stata l’ennesima tragedia (Hotel Rigopiano) e l’ennesimo enorme disagio (interi paesi senza luce, riscaldamento né acqua per giorni). Ma come è possibile che l’umanità che è andata sulla Luna si faccia prendere in contropiede da…un ingresso di aria artica continentale? Com’è possibile che ci siano al giorno d’oggi le app più folli e inutili, le tecnologie più impensabili anche sulle comuni auto utilitarie e in casi come quello del gennaio 2017 sopravvive chi si scalda a legna e vive a lume di candela? La risposta è semplice: la nostra società vuole avere sempre tutto sotto controllo e non è affatto resiliente: chi vive in taluni posti SA E DEVE SAPERE che vive in zone assai nevose (oltre che sismiche…!), quindi deve convivere col rischio di fenomeni simili: se poi ci si mettono anche i cambiamenti climatici beh…ci vuole davvero una campagna di informazione corretta. Purtroppo spesso e volentieri la gente comune non è affatto informata su eventuali criticità oppure su comportamenti da adottare in caso di evento estremo. Oltretutto, in diverse realtà si è costruito dove NON si sarebbe dovuto: il caso lampante è la città di Genova, sempre alle prese col rischio idrogeologico: ma allora come si fa? Spostiamo tutti i genovesi altrove? Spostiamo gli abruzzesi e i molisani altrove? Le risposte possono essere varie ed eventuali e si scontrano (giustamente) con l’etica, le tradizioni, i costumi e le radici di ognuno di noi: un eventuale sfollamento per fenomeni intensi rischia di far passare queste persone come “profughi climatici”. E nonostante i beoti che sono pro-riscaldamento globale, i profughi climatici ci sono già e ci saranno sempre di più: un esempio terraterra è quello dell’estate 2015, dove molti cittadini, infastiditi dall’eterna ondata di calore, si sono riversati in collina e montagna. È o non è un esodo da cambiamenti climatici? Ce lo siamo già scordato? Forse il gelido gennaio 2017 ce l’ha fatto dimenticare: beh io sono qui a ricordarvelo!

Ma torniamo al caso di rischio di fenomeni violenti: allorquando c’è un rischio CONCLAMATO (e al giorno d’oggi si può prevedere con ragionevole probabilità un’alluvione) si deve ALLERTARE la popolazione, devono chiudere uffici, scuole, negozi e  in caso estremo SGOMBERARE quella zona: meglio uno sforzo prima che la conta dei danni (e delle vittime) poi, non credete?

Fermo restando che se poi la catastrofe non c’è ci si arrabbia perché si ha perso un giorno di lavoro: vi giuro ho letto certe assurdità! Ma scherziamo? Ma allora diventiamo schiavi del lavoro e del guadagno! Un utente affermava che la ditta gli ha contato quello perso come “giorno di vacanza” e gli rimanevano 20 miseri giorni di ferie: un altro utente si lamentava che, essendo libero professionista, aveva avuto mancati guadagni per quel giorno. Queste due storie al limite del grottesco sono ahimè reali e il problema è dell’uomo (non certo della natura), che con la sua visione pecuniaria, monetizzante e capitalistica di ogni cosa si autocrea danni da solo, in nome del lavoro e del denaro. In fondo, decenni fa probabilmente non ci saremo dovuti spostare per andare a lavoro con due metri di neve, saremmo rimasti chiusi per un paio di giorni nelle nostre case e probabilmente ci sarebbero stati meno danni. Capitalismo e ritmi della natura non vanno di pari passo: bastano pochi cm di neve o mm di acqua per mandare in tilt gli spostamenti, molte persone si arrabbiano se piove, se nevica, se grandina, se fa caldo, se fa freddo… la verità è che codeste persone sono ahimè frustrate: mi è capitato di sentire una persona che si imbufaliva perché nell’unica (!!!) settimana di ferie estiva capitava il regime atlantico foriero di temporali, mandando alle ortiche le sue brevissime vacanze. La verità è che i ritmi di lavoro e della società odierna dove vogliamo tutto e subito (come se non ci fosse un domani) ci stanno facendo odiare qualsiasi tipo di tempo, qualsiasi clima, qualsiasi evento atmosferico. Dovremmo abbandonare questa folle corsa verso il nulla (Per andare dove? Per vincere cosa?) e riabbracciare la filosofia della natura, della lentezza e della sobrietà. E –non da ultimo- fare prevenzione, prevenzione e ancora prevenzione. Insegnare nelle scuole quanto l’uomo sia complice del riscaldamento globale, quanto le generazioni attuali e future, anziché imbambolarsi dietro i telefonini da 500€, possano fare per fermare il global warming ed evitare un “nuovo rigopiano” o una nuova alluvione. Vogliamo vivere serenamente in armonia con la natura (in maniera resiliente) o vogliamo ancora stupirci di una futura alluvione, magari per mancanza di gasolio o per cattiva manutenzione? Anziché mandare sonde o voler abitare Marte, anziché finanziare guerre o app che ti dicono qual è il ristorante più chic della zona, vogliamo finanziare ciò che veramente serve e fa risparmiare vite umane, risorse ambientali e soldi pubblici, ovvero la cultura dell’ambiente e la prevenzione?

Nessun commento:

Posta un commento